Film

Lawrence of Arabia (1962)

« Non tutti gli uomini sognano allo stesso modo … Io intendevo creare una Nazione nuova, ristabilire un’influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale … »

Queste parole sono le ultime che T.E. Lawrence scrisse nel libro che narra la sua vita “I sette pilastri della saggezza”, prima di schiantarsi nell’incidente motociclistico che mise tragicamente fine alla sua turbolenta esistenza.
E con questo incidente inizia il film, che di fatto è un lungo flashback che ricostruisce la sua vita, vissuta pericolosamente, come un lungo preambolo a questo incidente: forse volutamente, come sembra adombrare la scena del film, forse per sfida continua a se stesso e alla vita: come gli dice ad un certo punto lo sceriffo Alì, Lawrence ha effettivamente fatto un uso poco attento delle sue nove vite.

Il film inizia con la sua assegnazione in qualità di tenente dell’esercito britannico ad una delicata missione di ricognizione in zone di interesse strategico sul fronte di guerra mediorientale nel 1916.
Quello con il deserto è davvero un colpo di fulmine: lo spirito originale, narcisistico e appassionato del giovane ufficiale inglese entra in una tale sintonia con la cultura dei suoi abitanti da portarlo a diventare il catalizzatore delle loro aspirazioni di libertà.
Dopo aver guidato attraverso il deserto del Nefud un esercito di beduini alla conquista di Aqaba ed essere arrivato a Damasco prima ancora dell’armata britannica, riesce a far sì che Feisal venga nominato re dell’Iraq, anche se il suo sogno di una unità e di un autogoverno arabo è subito liquidato, non solamente per l’immaturità e la polverizzazione politica delle masse arabe, ma soprattutto perché Inghilterra e Francia si sono già messe tranquillamente d’accordo di spartirsi il dominio turco nel Medio Oriente.

Il ritratto di Al Orens (come lo chiamano presto i beduini), così magistralmente ridisegnato da Peter O’Toole, ricalca alla perfezione quella che è stata la figura del personaggio storico: archeologo, agente segreto, letterato, uomo dalla profonda cultura e sensibilità, probabilmente l’ultimo grande eroe dell’epoca post romantica, dal carattere complesso e incredibilmente volitivo, impulsivo e insofferente all’obbedienza; è capace di imprese impossibili perché “nothing is written” se non nella volontà dell’uomo. Ed è un profondo umanesimo quello che vorrebbe animasse sempre le sue azioni, anche se alla fine l’assurdità della vita avrà la meglio, mostrandosi in tutta la sua crudeltà e portandolo ad essere assurdamente disumano. Disumano come quel deserto che ha tanto amato e che è stato capace di portarsi via i suoi amici e i suoi sogni.

 

E il deserto nel film di David Lean è più che un magnifico scenario, è un soggetto vivo: il vento, i suoni e i colori emergono superbamente, accompagnati dalla splendida musica di Jarre, a protagonisti incontrastati dell’opera di Lean.

ll film si conclude con la partenza di Lawrence da Damasco. Una macchina militare scoperta lo accompagna al porto per l’imbarco. Mentre viaggiano sull’interminabile pista di sabbia superano prima una carovana beduina, che il protagonista segue con sguardo innamorato e già nostalgico, e sono in seguito a loro volta superati dalla motocicletta di un portaordini che si allontana a velocità vertiginosa.
Un istante magico in cui si condensa la nostalgia del passato e la premonizione del futuro.

Vincitore di 7 premi Oscar, da anni è in pianta stabile nelle top ten delle pellicole più belle di sempre, e non a torto. Uno spettacolo di tale portata è difatti riscontrabile in pochissime altre opere. Artefici ne sono l’ispirata regia di Lean, supportata da una splendida fotografia, la solida sceneggiatura di Robert Bolt, fatta di concisi dialoghi che inquadrano ottimamente sia le significative vicende storiche che quelle private; l’indimenticabile colonna sonora di Maurice Jarre, legata indissolubilmente alla sabbia del deserto, le interpretazioni del ricco e talentuoso cast. A dispetto di star dell’epoca come Alec Guinness e Anthony Quinn, a lasciare di più il segno sono gli attori allora meno noti, Peter O’Toole e Omar Sharif, che da quest’opera hanno poi ricevuto fama internazionale.

Un altro splendido dono offertoci da “Bigger than Life”, la rassegna dedicata ai film in 70 mm che si conclude martedì 12 maggio in Arcadia a Melzo.

 

7 commenti

  • marco(a)

    Sembra impossibile che all’inizio degli anni sessanta venissero realizzati questi capolavori, affrontati senza risparmiare su nulla: cast, location, musiche, storia, tecnologia….

    E’ una grande scoperta, e non dico riscoperta, quella di questi classici portati a noi da Pietro Fumagalli, non certo da UCI, o Warner o Medusa.
    Chi non li ha visti NON vada a prendere il DVD: aspetti il prossimo passaggio su grande schermo, pare che qualche speranza ci sia : http://www.in70mm.com/now_showing/index.htm
  • anto

    è se è il più grande ancora meglio! …e anche se i chilometri macinati in questi giorni sono stati tanti, direi che è ne è valsa davvero la pena!

  • anto

    oui, c’est un vrai chef-d’oeuvre: une photographie superbe, une histoire passionnée et passionnante, la beauté et en même temps la cruauté du desert, le caractère d’un homme qui a été le dernier héro romantique… tout y est peint avec une maîtrise exceptionnelle! 

  • anto

    c’est le film qui leur a donné la célébrité! ils sont tout les deux d’une habileté et d’une beauté extraordinaire! 🙂
    Amitiés Apolline!