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Breve guida al sito archeologico di Akrotiri a Santorini

La prima volta che sono stata sull’isola di Santorini, il sito di Akrotiri – la città sepolta dalle ceneri del vulcano esploso nel 1627 a.C. – non era accessibile perché in ristrutturazione, dopo un grave incidente che aveva provocato la morte di una turista.
Allora però avevo potuto visitare un’esposizione delle riproduzioni dei famosi mosaici ritrovati in quella “Pompei minoica”, gli originali essendo per lo più al Museo Archeologico di Atene. L’articolo relativo è qui.

L’estate scorsa sono tornata sull’isola e ho potuto visitare infine questo sito incredibile. Molte recensioni lo sconsigliavano, lamentando la mancanza di sufficienti spiegazioni a fronte di un costo del biglietto piuttosto elevato.
In realtà le spiegazioni c’erano, in inglese. Ma erano effettivamente prive di quella narrazione che potesse restituire la storia e la vita di chi aveva abitato le case e calcato le strade miracolosamente riapparse dopo la terribile distruzione di gran parte dell’isola stessa.
Soprattutto è pesata, a mio avviso, la mancanza di un collegamento visivo con gli splendidi affreschi trovati nei vari edifici della città.

Ciò nonostante sono rimasta affascinata dalla visita delle rovine di Akrotiri, che rappresenta un tuffo nella vita di una società antica di millenni. Cercherò qui allora di redigere una breve guida lungo il percorso che attraversa il sito degli scavi, collegando gli edifici agli affreschi in essi ritrovati, per provare a rendere più vive, più significative e più eloquenti quelle pietre resuscitate dopo tanto tempo.

La scoperta della città sepolta dalla cenere

È stato nel 1866 che, accanto al villaggio di Akrotiri, furono scoperti a Santorini i primi resti di una città risalente alla tarda età del bronzo di chiara influenza minoica, forse una colonia cretese.
Tra il 1627 e il 1600 a. C. una potentissima esplosione vulcanica aveva provocato l’inabissamento della parte centrale dell’isola e l’abitato era stato sepolto da uno strato di cenere alto fino a 30 metri. Fu proprio questo strato a preservarlo dagli agenti atmosferici per più di 3000 anni.
Nel 1939 l’archeologo Spyridon Marinatos pubblicò la sua teoria secondo la quale questa catastrofe naturale sarebbe stata la causa del crollo della civiltà minoica la cui tragica scomparsa avrebbe poi dato origine al mito di Atlantide narrato da Platone. Marinatos condusse gli scavi nell’antica Akrotiri a partire dal 1967. Una specie di giallo circonda la sua morte: il 1º ottobre 1974 morì in un incidente mai del tutto chiarito e fu sepolto fra le rovine. Da lì il corpo fu poi misteriosamente trafugato nel 2000. Dopo la morte di Marinatos gli scavi proseguirono sotto la direzione di Christos Doumas.

La zona scavata si estende per circa 20 ettari. Dal materiale vulcanico sono emerse pian piano piazze, strade, edifici a più piani in pietra e fango, con finestre di varie dimensioni e pavimentazione interna in ciottoli o conchiglie; magazzini, bagni, condutture, pareti magnificamente affrescate, mobili e vasellame. 
Non sono stati rinvenuti i corpi. Evidentemente tutti i 30.000 abitanti stimati avevano lasciato la città in previsione della catastrofe, allarmati da segni premonitori quali i frequenti terremoti. Questi sono testimoniati anche dalla presenza di cunei lignei a rinforzo dei muri.
Inoltre sono stati trovati solo oggetti di uso comune (quelli più preziosi furono con tutta probabilità portati con sé dalla popolazione in fuga), molti dei quali importati, a prova di una vasta rete di rapporti commerciali esistenti con la Grecia continentale, il Dodecaneso, Creta, Cipro, la Siria e l’Egitto.

La Casa delle donne e il Magazzino dei Pithoi

Una delle prime aree rilevanti che si incontrano durante la visita alle rovine è chiamata Casa delle donne. Si tratta di un edificio a tre piani che prende il nome dall’affresco che decorava la stanza 1 del terzo piano. L’ala est è stata gravemente erosa nel corso dei secoli dal torrente che scorreva nel sito prima dello scavo. L’ingresso all’edificio era all’angolo sud-ovest, dove si trova anche la scala principale. Oltre ai dipinti murali raffiguranti le donne, la stanza 1 era decorata con affreschi che rappresentano gruppi di fiori di papiro ingranditi. Dall’abbondanza e dal tipo di reperti si deduce che l’edificio fosse una casa privata.

Nei tre locali al pianterreno si trovava il magazzino di un imprenditore dedito al commercio. Magazzino dei Pithoi è il nome dato dal prof. Marinatos al primo edificio portato alla luce nello scavo nel 1967, perché lo trovò pieno di grandi vasi di stoccaggio (pithoi).
Sono visibili una vasca incassata in una parete, un focolare, muri divisori in mattoni di fango, ripostigli, la pavimentazione in ciottoli e gusci di conchiglia, nicchie per lo stoccaggio delle merci e almeno 15 pithoi che si trovano ancora sul posto.

Un torrente sotterraneo ha distrutto parte della Casa delle donne e frammentato gli affreschi. In uno di essi si distingue una struttura architettonica sormontata da corna sacre e decorata con fiori di papiro. A fianco della struttura compare una scimmia blu con le braccia alzate, in un altro affresco la testa di una figura maschile con caratteristiche africane di fronte ad una palma.
Si tratta di uno degli edifici più studiati. I piani erano collegati da due scale, il pianterreno ospitava botteghe, laboratori, una cucina e un granaio, le numerose stanze dei piani superiori erano illuminate da un lucernario – esempio unico ad Akrotiri – tipico dell’architettura cretese.
Gli affreschi raffiguravano piante fiorite (gigli di mare o papiri), soggetti comuni nell’arte minoica e figure femminili che danno il nome all’edificio.
La prima stanza era forse un tempio e le donne raffigurate, indossanti tipici abiti cretesi, stavano probabilmente vestendo una sacerdotessa.

La Piazza Triangolare e la Casa Occidentale

È così chiamata la piazza circondata dal cosiddetto Edificio A a sud-est, dalla Casa Occidentale a nord e da un altro edificio, non ancora portato alla luce.
Oltre l’amplissima finestra della stanza 3 della Casa Occidentale si svolgevano attività di tessitura, testimoniata dal ritrovamento di un gran numero di pesi per telai. Sulle pareti della stanza 5 si trovavano tre tipi diversi affreschi: due Pescatori, la cosiddetta Sacerdotessa e il Viaggio della flotta.

Durante il terremoto l’affresco del pescatore, eccezionalmente conservato, si staccò dal muro, scivolando verticalmente fino a raggiungere il pavimento; Marinatos lo definì per questo “dipinto portatile”.
Il pescatore ha il capo rasato reso dal colore blu, sul quale spiccano due ciocche nere e i suoi arti inferiori sono mostrati di profilo. Il busto e l’addome sono di tre quarti e le braccia aperte ai lati sembrano un tentativo di rendere la figura di fronte con gli arti superiori estesi in avanti.
L’altro affresco era in condizioni molto peggiori ma i frammenti superstiti sono stati comunque sufficienti per ricomporre e completare la figura di un giovane di profilo.

La lunga veste della sacerdotessa color giallo zafferano con maniche al gomito indica un rango elevato; la donna ha il capo rasato, indossa gioielli elaborati e regge un braciere sopra il quale sembra spargere una sostanza, forse incenso.

Il Viaggio della flotta

Il Viaggio della flotta è una delle opere più importanti dell’Egeo. Le numerose aperture nella stanza 5 della Casa Occidentale, costrinsero l’artista a sviluppare il soggetto iconografico principale nella zona superiore, sulla striscia lunga e stretta che corre sopra le porte e le finestre, lungo tutte e quattro le pareti. Il pittore ha cercato di narrare la storia di un grande viaggio oltremare, in cui la flotta visita diversi porti e città. Dopo la città di partenza, forse Akrotiri stessa, la flotta giunge alla “città 2”; mentre alcuni uomini finiscono in balia delle onde, un manipolo di guerrieri marcia lungo la spiaggia protetta da una cinta muraria. L’artista ha reso i capelli degli uomini caduti in mare come se fluissero con i movimenti dell’acqua. Vediamo un elmo di zanne di cinghiale, un grande scudo rettangolare e lunghe lance e spade. Si tratta dell’armamento tipico dei guerrieri dell’età del bronzo nell’Egeo. Una mandria a sinistra della città ed un gregge a destra sono condotti da alcuni pastori ad un pozzo presso il quale attinge l’acqua un gruppetto di donne.
Sulla parete orientale pochi frammenti mostrano parti di navi della “città 3”. Vi si nota il corso sinuoso di un fiume e una dettagliata descrizione della natura circostante: in un paesaggio tipico subtropicale spiccano cespugli, palme, patate, qualche anatra, un gatto selvatico, uno sciacallo e perfino un grifone in volo. La scena dell’inseguimento di alcuni cervi da parte di un felino, lungo il corso del fiume collega tematicamente il fregio sulla parete orientale a quello sulla parete meridionale.
La flotta si allontana dal porto in direzione di un’altra città. Una barca con cinque rematori e un timoniere trasporta una persona importante, la cui testa sporge oltre una specie di trono a poppa dell’imbarcazione. Forse si trattava di un alto dignitario locale che accompagnava la partenza della flotta mentre lasciava il porto. La flotta comprende sette grandi navi a vela; tre hanno gli alberi alzati, ma una sola ha tutte le vele spiegate. Dietro ogni timoniere compare l’ikrion, una leggera struttura coperta di pelli. La precisione descrittiva fa pensare al fregio come ad un manuale di carpenteria navale del tempo.
Le caratteristiche topografiche del paesaggi,o la configurazione del porto, le barche sulla spiaggia gli edifici a più piani caratteristici dell’Egeo e la comparsa degli abitanti fanno propendere per l’ipotesi che la flotta sia tornata alla città di partenza Akrotiri. L’artista ha trasmesso la natura festosa dell’evento con la popolazione che si sposta dalla città dei dintorni verso il porto per dare il benvenuto ai naviganti.

Recenti studi individuano nella miniatura elementi che in seguito sarebbero apparsi nelle descrizioni dei poemi omerici. Il fregio è una delle più antiche relazioni di viaggio e si riferiva forse al padrone della Casa Occidentale, riportando una sua missione oltremare con una tale minuziosità da poter essere considerato un portolano dell’età del bronzo.

Il fregio, nel tempo è stato oggetto di varie interpretazioni: si è pensato che immortalasse uno specifico evento storico, come una campagna di minoici in Libia, con i vincitori che tornano a casa in trionfo; oppure una regata sacra, la rappresentazione di una festa nautica o una processione di nozze. Nella stanza 5 fu trovato anche un tavolino a tre gambe decorato con figure marine.

La stanza 4 della Casa Occidentale era divisa in tre unità più piccole, una delle quali adibita a bagno. Fra due strisce, una inferiore ad imitazione del marmo, e una superiore a bande colorate alternate, era raffigurata una serie di ikria le particolari strutture presenti sulle navi del fregio nella stanza 5. Erano forse scudi speciali per i comandanti oppure stendardi o portantine. All’interno di finte cornici dipinte negli stipiti della finestra, due eleganti basi e due manici recano ognuno cinque stelle blu con fiori di giglio rosso.

Il Complesso Delta e l’Affresco della primavera

Il Complesso Delta si trova al centro della zona di scavo e comprendeva quattro unità indipendenti ma contigue separate in certi punti da doppi muri e con un ingresso per ogni punto cardinale. Sulla scala che porta dall’anticamera al piano superiore, ci sono segni evidenti della distruzione sismica che ha preceduto l’eruzione vulcanica. Nonostante i danni agli appartamenti orientali, molti dei vasi presenti si sono conservati.
Dopo l’eruzione, il fango portato dal torrente che scorreva in questa zona inondò le stanze permettendo la conservazione dell’affresco con gigli e rondini, conosciuto come l’Affresco della Primavera ed esposto ora al Museo Archeologico Nazionale di Atene. Si sono trovate anche le impronte di vasi di legno e pezzi di mobili, i cui calchi in gesso sono esposti al Museo della preistoria di Fira.

Delle 14 stanze identificate pare che solo una al pianterreno e una al primo piano fossero decorate con affreschi. Le tre pareti cieche della stanza 2 presentano l’Affresco della Primavera, in cui ci viene restituito il paesaggio montuoso e roccioso di Thira con piante di gigli rossi fioriti e rondini volo.
Mentre gli studiosi convergono sul significato religioso dell’affresco, i reperti trovati nella stanza (un lettino, una serie di vasi, recipienti e strumenti in bronzo) fanno pensare ad un utilizzo privato. Forse in una prima fase fu utilizzata come tempio in seguito divenne un magazzino. 
La Piazza delle corna nel Complesso Delta deve il suo nome alla facciata dell’unità orientale, coronata sopra l’ingresso, da corna sacre scolpite in tufo bianco. Esse indicano la possibile esistenza di una stanza sacra all’interno dell’edificio, forse la Delta 17. In essa, oltre a numerosi oggetti di uso quotidiano, erano presenti due basi rituali a forma di testa di cinghiale.

Settore Beta: gli affreschi dei Pugili bambini, delle Antilopi, delle Scimmie blu 

L’edificio del Settore Beta era probabilmente una residenza privata; è stato gravemente danneggiato dal torrente stagionale tanto da rendere impossibile stabilire dove fosse l’ingresso.
La stanza Beta 1 al primo piano era lunga e stretta, divisa da un sottile muretto di mattoni di fango in due sezioni disuguali con affreschi soltanto nella parte orientale. Si sono conservati anche gli affreschi della stanza Beta 6 al piano superiore.
Nella stanza al pianterreno è ben visibile una macina, una dispensa contenente recipienti di vari misure usati per cucinare e per servire. Gli affreschi della stanza Beta 1 vedono correre in alto per tutti e quattro i lati della stanza un fregio raffigurante un tralcio di edera rosso con foglie blu a forma di cuore, incorniciato sopra e sotto da due linee degli stessi colori.

Nella limitata superficie tra due porte erano affrescate le figure dei due pugili bambini, sullo sfondo bianco di gesso e sotto una distesa di rosso conosciuta come onda silenziosa per l’ondulazione del bordo. I bambini indossano orecchini, collane, bracciali, guantoni e una cintura. Con la parziale sovrapposizione degli avambracci l’artista ha cercato di dare il senso della profondità e con la posizione degli arti quello del movimento. Marinatos vedeva in queste figure due nobili fratelli ma non precludeva alla possibilità che si trattasse di esseri divini.

Sulla parete ovest è raffigurata una coppia di antilopi che grazie ai movimenti dei capi, delle labbra e delle code sembrano intrattenere un dialogo amoroso.

L’affresco con le scimmie blu decorava la stanza Beta 6 al piano superiore. La morfologia e i colori delle rocce ricordano il paesaggio di Thira; il colore blu sembra essere stato usato per convenzione al posto del grigio. Le scimmie originarie dell’Egitto forse furono portate qui come dono e tenute come animali da compagnia. Nella zona superiore due fasci di linee colorate delimitavano un motivo di spirali.

Edificio Xeste 3 e l’Affresco delle adoranti

L’edificio denominato Xeste 3 è un imponente palazzo a tre piani che dominava l’ingresso alla città dal porto occidentale. La parola Xeste fa riferimento al bugnato che lo decorava, denotandone l’importanza e l’uso probabilmente pubblico. Si sviluppava su tre piani ed era apparentemente il più vasto della città. Le 14 stanze del pianterreno si ripetevano al primo piano; come altri edifici di Akrotiri era dotato di una scala principale all’ingresso e una di servizio interna. L’aspetto monumentale era accentuato dal rivestimento di una facciata e di parte di un’altra con blocchi di pietra uniformi disposti lungo l’asse orizzontale. All’interno sono stati trovati solo pochi pithoi e, caso unico ad Akrotiri, un bacino lustrale, tipico dell’architettura minoica al cui fossato si accedeva attraverso una piccola rampa di cinque scalini posta sul lato nord della stanza 3.

La sorprendente mancanza di vasi per uso domestico e l’abbondanza di oggetti di carattere cerimoniale ha portato a pensare che Xeste 3 fosse un edificio pubblico dedicato ai rituali. L’iconografia degli affreschi e la separazione per sesso dei partecipanti nelle messe in scena rituali rappresentate rafforzano l’opinione che l’edificio fosse un luogo per i riti di passaggio dei giovani membri della società dell’antica Thira. Il bacino lustrale era probabilmente un luogo di culto in cui le giovani donne erano sottoposte ad iniziazioni rituali connesse con le mestruazioni e le nascite.

Molte delle sue stanze erano collegate attraverso dei divisori che formavano ampie sale. La maggior parte degli appartamenti di Xeste 3 erano decorati con pitture murali. Coprendo decine di metri quadrati di superficie, questi costituiscono il più grande insieme di pittura murale conosciuto nell’Egeo preistorico.


L’affresco sulla parete nord del piano terra sopra il bacino lustrale: le tre figure femminili dette Adoranti procedono verso un altare, un santuario dipinto sulla parete vicina. Sormontato da un paio di corna sacre dalle qui estremità gocciolano stille rosse è molto simile a quello raffigurato su un vaso rituale in pietra del palazzo di Zakros a Creta. Le adoranti indossano ricche vesti minoiche e raffinati gioielli che rivelano il loro rango elevato. La prima donna reca nella mano sinistra una collana di cristalli di rocca; il corpetto trasparente con maniche ricamato con stami di croco lascia scoperto il seno.
La figura centrale è mostrata interamente di profilo seduta su un piccolo poggio e leggermente piegata in avanti un ramo di mirto pende sopra il capo dalla spalla dietro un voluminoso boccolo sporge una spilla che termina con una melagrana. La figura sembra avere due mani sinistre, tutta la posa è innovativa per l’arte egea e presa in prestito dall’Egitto dove le donne nei dipinti delle tombe sono in ginocchio con una mano toccante il suolo e l’altra posta sulla fronte. La terza figura interamente di profilo procede con le braccia estese la faccia volta all’indietro rivela il volto e parte della testa rasata spostando con la mano destra il velo trasparente sotto il quale si distinguono i dettagli del corpetto e della gonna. Il carattere rituale della composizione è stato osservato da quasi tutti coloro che l’hanno studiata. Il fatto che siano presenti soltanto figure femminili e che una abbia il capo rasato aggiunge peso all’ipotesi che si tratti di una scena di iniziazione.

Affreschi dell’iniziazione maschile e della dea degli animali

L’affresco nella stanza 3B ritrae un uomo maturo con perizoma minoico che regge un grande recipiente con entrambe le mani nell’atto di svuotarne il contenuto. Verso di lui convergono le figure degli affreschi sui corridoi adiacenti. Un giovane nudo porta con entrambe le mani un braciere; dietro di lui un ragazzo in giallo ocra regge una piccola ciotola. Purtroppo i pochi frammenti giunti a noi non consentono di inserire nell’esatto contesto una magnifica anatra raffigurata di profilo ad ali spiegate. Forse la scena rappresentava un’iniziazione: dopo il lavaggio, la rasatura del capo e la raccolta dei capelli, il giovane giunto alla virilità era vestito con stoffe policrome.

Direttamente sopra il bacino lustrale al piano superiore nella stanza 3 fra due bande orizzontali colorate si sviluppa l’affresco raffigurante la raccolta dello zafferano. Lo zafferano ottenuto dagli stami dei crochi era utilizzato come colorante medicinale e profumo. Nella Grecia classica il croco era simbolo di ricchezza e supremazia. Le donne impegnate nella raccolta indossano vesti minoiche e ornamenti preziosi (orecchini, collane braccialetti, cavigliere) in oro, pietre preziose e cristallo di rocca. La differenza di età fra le due donne fa immaginare una relazione insegnante apprendista. Il culmine dell’attività viene mostrato nell’affresco in cui una maestosa figura femminile siede su una struttura a scalini. La figura è affiancata sulla sinistra da una scimmia blu, che ritta sulle zampe posteriori le offre un mazzolino di crochi e sulla destra da un grifone forse legato su una corda in atto di salire gli scalini. Un’attività economica quotidiana come la raccolta dei fiori di croco acquisita le dimensioni di un grande evento, una cerimonia che si svolge in parte nel regno della realtà in parte in quello della fantasia. Il frutto della raccolta viene offerto ad una divinità che siede tra bestie esotiche immaginarie. Marinatos la denominò Ptonia Theron (signora degli animali).

Al secondo piano nella stanza 9 troviamo l’unico caso di composizione puramente decorativa. Copriva almeno due pareti con una serie di losanghe dai bordi ondulati all’interno delle quali spiccavano quattro rosette blu e giallo ocra, con un effetto di alto rilievo di notevole bellezza.

Edificio Xeste 4

È un unico edificio che supera i 20 metri di lunghezza. Nella sua ala ovest
era alto almeno tre piani; il pavimento lastricato del terzo piano è ancora in situ. A causa dell’inclinazione in direzione sud-est del terreno, l’ala est ha le fondamenta a un livello molto più basso e ospitava un altro o forse due piani in più. Le pareti di entrambi i lati dell’imponente scalone, che portava da un vestibolo ai piani superiori, erano decorate con una monumentale processione di figure maschili a grandezza quasi naturale che salgono le scale.
Le dimensioni di Xeste 4, la qualità della costruzione e l’aspetto imponente, esaltato dall’iconografia dell’affresco lungo la scala, suggeriscono che si trattasse di un edificio pubblico. Forse era la sede dell’autorità civica responsabile della pianificazione e della manutenzione delle opere pubbliche, come le strade pavimentate e la rete fognaria della città.

Rete stradale e rete fognaria della città

La città prima della sua distruzione (I metà del II millennio a.C.) aveva una fitta rete stradale. L’asse stradale centrale correva attraverso la città in direzione nord-sud, seguendo la cresta del promontorio su cui l’insediamento si era sviluppato. Altre piccole strade sui pendii della penisola collegavano gli edifici alla strada principale, mentre vicoli
e impasse servivano all’illuminazione, alla ventilazione delle case, o alle esigenze della rete di drenaggio-fognatura.. C’era anche un ampio numero di piazze, che erano disposte di fronte agli ingressi degli edifici, facilitando il movimento degli animali da soma che trasportavano i rifornimenti.
I cambiamenti nel piano stradale e l’aumento del livello delle strade resero necessaria la costruzione di una nuova rete di drenaggio-fognatura.
I servizi igienici nelle case furono allora collegati da tubi di argilla incorporati all’interno dei muri. Il sistema era complesso e permetteva attraverso pozzetti di evitare il ritorno delle esalazioni e incanalare i rifiuti verso la rete fognaria che correva sotto la strada.

Approvvigionamento idrico

Le quantità d’acqua necessarie per il funzionamento della città dovevano essere enormi. L’acqua di mare veniva trasportata in pelli con animali da soma per le esigenze dei servizi igienici in ogni casa; le grandi giare (pithoi) ritrovate, decorate con piante acquatiche indicano che veniva così immagazzinata. Per quel che riguarda l’acqua potabile invece, non si conosce l’ubicazione della o delle sorgenti da cui la città la ottenesse; non sono state trovate infatti cisterne per la raccolta dell’acqua piovana dai tetti delle case.
La scoperta di un piccolo tubo d’argilla di tipo totalmente diverso
da quelli usati nel sistema di drenaggio per le fognature suggerisce l’esistenza di un acquedotto che portava l’acqua dai piedi del massiccio calcareo del monte Prophitis llias, dove ancora ci sono sorgenti d’acqua. Forse questo acquedotto terminava alla periferia della città, dove una fontana come quella illustrata nel fregio della Casa Occidentale serviva gli abitanti della città.