L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci
Alla fine del XV secolo Ludovico Sforza volle fare di Santa Maria delle Grazie un luogo di celebrazione del proprio potere e il mausoleo di famiglia. Per questo il duca finanziò importanti commissioni nel complesso, come la ristrutturazione della tribuna della chiesa, che affidò a Donato Bramante.
La decorazione del refettorio del convento fu invece affidata a Leonardo da Vinci, al quale Ludovico richiese una rappresentazione dell’Ultima Cena di Cristo tra i dodici apostoli.
Il Cenacolo di Leonardo Da Vinci occupa l’intera parete settentrionale del refettorio del convento domenicano, il luogo dove i frati si incontravano per mangiare, pregare e meditare durante i loro pasti.
Dipinta fra il 1494 e l’inizio del 1498 è considerato tra i dipinti murali più importanti al mondo ed è un’opera incredibile per molti motivi.
La scelta leonardesca di non dipingere ad affresco ha reso il dipinto incredibilmente fragile, facendo sì che la sua stessa sopravvivenza fino ad oggi sia parte del miracolo che essa rappresenta.
L’espressività dei personaggi
Uno degli aspetti più sorprendenti di quest’opera è il modo in cui Leonardo ha reso i moti dell’animo e i movimenti del corpo degli apostoli, subito dopo che Cristo ha annunciato l’imminente tradimento da parte di uno di loro.
Gesù ha ancora le labbra socchiuse, ha appena pronunciato la frase riportata dai Vangeli “in verità, in verità vi dico, uno di voi mi tradirà”, che già gli altri 12 commensali sono scossi da un’onda di reazioni che percorre da un capo all’altro la tavola attorno alla quale si sono riuniti assieme al Cristo per l’ultima volta.
Nel periodo in cui lavora al dipinto Leonardo è impegnato in studi sulla luce, sul suono e sul movimento ma anche sulle emozioni umane e sulla loro espressione e i risultati dei suoi studi sono qui evidenti.
La drammatica rivelazione scatena negli apostoli intense emozioni che ne scuotono profondamente gli animi e si manifestano nella varietà delle espressioni dei volti, nella postura dei corpi e nella gestualità. Vi si trovano i sentimenti più vari come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore.
La luce e la prospettiva
Leonardo sceglie di ambientare la scena in un contesto aperto verso l’esterno e non in un luogo chiuso, come invece vorrebbe la tradizionale iconografia. Il refettorio diventa così una scatola prospettica nella quale lo spazio dipinto e la dimensione reale interagiscono.
Leonardo riesce infatti a creare l’illusione che la realtà continui oltre il muro dipinto grazie a un uso sapiente della luce e della prospettiva.
La principale fonte luminosa proviene dalle finestre della parete sinistra del refettorio, un lieve effetto di controluce è dato dalle grandi finestre che vediamo in secondo piano.
La costruzione prospettica ha il suo punto di fuga a quattro metri di altezza, in corrispondenza della tempia destra di Cristo. Leonardo modifica le regole matematiche della prospettiva e rappresenta la scena su un piano inclinato per rendere la tavola imbandita visibile, ma anche per unire lo spazio reale con quello pittorico e rendere comprensibile l’intera composizione anche da una certa distanza.
Per rendere i diversi piani del dipinto, Leonardo utilizza quella che lui stesso chiama la “prospettiva aerea”. Essa è qui rappresentata con un brusco mutamento della gamma cromatica che, dai colori caldi delle figure in primo piano e dello spazio architettonico, passa a toni freddi, come il verde e l’azzurro, dando così l’idea dell’aria che sta tra l’occhio di chi osserva e lo sfondo pittorico.
Gli apostoli
Gli apostoli sono disposti a gruppi di tre in forma di triangolo, così come triangolare appare l’immagine del Cristo a sottolineare la sacralità del soggetto e della scena. La disposizione a gruppi dà anche ulteriore dinamismo alla scena, assimilandola a un’onda in movimento.
Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all’estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all’annuncio di Cristo. Vicino a lui si trova Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, che alza le mani, come a volersi discolpare. Accanto c’è Pietro, che è proteso verso Giovanni, il giovane malinconico seduto accanto a Cristo e impugna un coltello nella mano destra, appoggiata sul fianco. Questa iconografia s’ispira a un episodio del Vangelo in cui l’apostolo taglia l’orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote Caifa, in difesa di Gesù arrestato nel giardino del Getsemani.
Vicino a questo gruppo c’è Giuda, che sembra ritrarsi col corpo mentre poggia il gomito sulla mensa, sulla quale è visibile un contenitore di sale rovesciato. In mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.
Al centro della composizione, e del movimento dei dodici apostoli, si trova Cristo, isolato nella sua perfetta sagoma triangolare.
Sulla destra Giacomo Maggiore apre con sdegno le braccia, mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l’indice della destra puntato in alto. Filippo si è appena alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un’espressione di dolore sul volto.
Vicino a lui c’è Matteo, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite. Giuda Taddeo è stupito, l’anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola.
La rapida degradazione e il lungo restauro
Per realizzare il grande dipinto murale l’artista volle sperimentare una tecnica innovativa “a secco”, simile a quella utilizzata per la pittura su tavola, che gli permise una realizzazione molto meditata e la possibilità di apportarvi tutte le modifiche desiderate.
Questa pittura su intonaco asciutto permetteva di raggiungere intensità di toni e preziosi effetti di luce. Ma rese anche la pittura estremamente fragile. Già vent’anni dopo la sua realizzazione ci sono attestazioni che la descrivono come estremamente degradata.
Dall’inizio del Settecento sono documentati ben nove restauri al Cenacolo, anche se sono state trovate tracce di interventi ancora precedenti. In passato però il restauro era inteso come rifacimento e completamento delle parti mancanti o deteriorate: per questo gli interventi si risolsero molto spesso nella ridipintura di intere porzioni dell’opera. Dal Novecento, invece, i restauri si sono limitati al consolidamento e al trattamento delle lacune.
L’ultimo restauro, durato venti anni e conclusosi nel 1999 ha permesso di riportare alla luce brillantissime le porzioni superstiti delle stesure originali.
Sotto le bombe
Ma il vero miracolo che ha salvato il Cenacolo Vinciano è avvenuto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La notte tra il 15 e il 16 agosto 1943 l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci rischiò di scomparire per sempre quando un ordigno causò il crollo della parete est del refettorio che custodisce l’opera: la bomba mancò il capolavoro di soli 20 metri. La detonazione mandò in frantumi la parete orientale del refettorio, facendo crollare il tetto.
Nel 1940 i funzionari addetti alla tutela delle opere d’arte avevano preventivamente sistemato una protezione fatta di sacchi di sabbia, impalcature di legno e rinforzi metallici su entrambi lati della parete settentrionale. Grazie a questa precauzione, il capolavoro di Leonardo, così come La Crocifissione di Donato Montorfano che si trova sul lato opposto ha miracolosamente resistito, restando sorprendentemente in piedi in mezzo alle macerie.
.