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Tra storia e leggenda: San Galgano

Siamo nel XII secolo in Toscana. Dopo una gioventù libertina il cavaliere Galgano Guidotti (nato a Chiusdino nel 1148) abbandona i suoi titoli e gli averi per iniziare una vita di eremitaggio nella campagna senese a Montesiepi. Venti anni anni dopo la sua morte, nel 1201, nella piana sottostante viene costruita un’abbazia cistercense per onorarlo.

L’agiografia cristiana racconta che Galgano Guidotti un giorno, mentre andava a trovare la sua fidanzata, cadde da cavallo e in seguito alla caduta ebbe la visione dell’arcangelo Michele che lo invitava a rinunciare ai beni materiali. A questa richiesta il cavaliere rispose dicendo che separarsi dai suoi beni sarebbe stato difficile per lui come spezzare una roccia in due con una spada e per sostenere la sua affermazione, tentò di compiere proprio quel gesto con il risultato che la spada, anziché spezzarsi, penetrò completamente nella pietra.
A partire da quel momento Galgano si isolò dal mondo e rimase in eremitaggio fino alla sua morte, avvenuta nel 1181, accanto alla sua spada.
Quattro anni dopo fu canonizzato da papa Lucio III.


A lungo si pensò che questa spada fosse un falso, ma delle analisi effettuate nel 2001 mostrano che essa risale al XII secolo ed è effettivamente conficcata nella roccia. I ricercatori hanno scoperto anche che c’è una cavità sotto di essa, in cui è forse sepolto il corpo del Santo.

Questa spada è innanzitutto un simbolo potente del passaggio di quest’uomo dalla guerra alla pace, sottolineato dal fatto che la forma di ciò che di essa emerge dalla pietra ricorda quella della croce.
Ma c’è di più: le numerose somiglianze con i racconti del ciclo di re Artù non sono passati inosservati. Molti storici hanno sottolineato le molteplici coincidenze che ricorrono tra le due storie, a cominciare dal nome del Santo, così simile a quello di ben due cavalieri della Tavola Rotonda, Galaad, che del resto era di origine romana, e Galvano.

La spada nella roccia ricorda Excalibur e un libro di Mario Moiraghi, “L’enigma di San Galgano”, propone una spiegazione interessante di tutte queste coincidenze. L’autore sostiene che la storia della spada nella roccia venga dalla Toscana e non dalle regioni celtiche di Gran Bretagna o di Francia da cui si è poi diffusa. Essa sarebbe stata aggiunta in un secondo tempo alla leggenda di re Artù, esportata in Francia dai monaci cistercensi, la responsabilità dei quali nella diffusione dei racconti del ciclo bretone è del resto largamente riconosciuta.

San Galgano fu invitato a Roma da papa Alessandro III nel 1180. Qui incontrò dei monaci cistercensi che lo convinsero ad aderire all’ordine, pur lasciandogli la libertà di vivere da eremita come desiderava.
Alla sua morte il Vescovo di Volterra permise ai monaci di costruire un oratorio sulla tomba dell’eremita e degli alloggi per i monaci incaricati di vegliare alla cura del luogo.
La piccola costruzione diventa rapidamente abbazia e si ingrandisce nel corso del XIII secolo, sopravanzando le abbazie benedettine vicine e acquisendo possedimenti a San Gimignano e a Siena.
Una cappella adiacente alla rotonda, costruita nel 1340, è affrescata con scene della vita del Santo di Ambrogio Lorenzetti, alcune delle quali solo abbozzate.

La prosperità del monastero termina alla fine del XIV secolo, quando l’abbazia viene più volte saccheggiata e nel XV secolo appare la “commenda”, una sorta di usufrutto dei beni concesso ai monaci, che come accadde in molti casi ne segnò la rovina. Avidi e senza scrupoli i monaci nel 1548 arrivano a vendere il piombo del tetto della chiesa, accelerando la sua fine. Sembra che essa sia stata definitivamente chiusa nel 1652.

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