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New York era piena di zigomi – Il mondo autenticamente onirico di Gabriele Picco

Ho trovato New York era piena di zigomi del tutto casualmente durante una navigazione ad ostacoli su Facebook. Mentre saltavo di palo in frasca usando come liana i contatti comuni alla ricerca sonnacchiosa di contenuti che attirassero la mia attenzione sono incappata nel video di presentazione che Gabriele Picco ha creato per il suo graphic novel.
I video. Plurale. 10 frammenti di video tanto brevi quanto esilaranti nella loro semplicità che me l’hanno fatto acquistare subito, così sulla fiducia.

Gabriele Picco è uno scultore, pittore, narratore di origini bresciane. Le sue opere ironiche, irriverenti e immediate hanno la genuinità dell’espressione pura, non mediata appunto, e per questo limpida e trasparente abbastanza da lasciar intravedere cosa ci sta sotto. O meglio che sotto non ci sta proprio niente. Nessun artificio, nessuna sovrastruttura, per questo forse ci si innamora subito del suo modo di raccontare. 

Nato durante il primo lockdown, sulla scia dei ricordi di quello che in quel periodo non si poteva più fare, New York era piena di zigomi racconta gli anni in cui l’artista, allora ventenne, si trasferì a New York per sfondare nel campo dell’arte. New York per lui è stata innanzitutto il premio vinto targato ministero degli Affari Esteri e considerando che delle sue opere ora si trovano al MoMA, forse non sono state tutte solo disavventure quelle che ha vissuto sulle rive dell’Hudson.

Nel graphic novel infatti sono narrate soprattutto le difficoltà cui il giovane artista ha dovuto far fronte nella sua trasferta nella Grande Mela. Si tratta a detta dell’autore di una storia vera al 99% e confesso che durante la lettura mi sono trovata più volte a chiedermi “sarà questo quell’uno per cento?”.  Le sue avventure hanno da subito un andamento onirico: una sorta di realismo magico fa sì che i personaggi reali (il suo gallerista, la nonna Zuma, il nonno Cesare) parlino e agiscano come protagonisti di un romanzo di Garcia Marquez, mentre quelli di cui si è portati a dubitare l’esistenza (la ragazza bipolare, i coinquilini, gli incontri effimeri) sono probabilmente più veri di quanto non siano verosimili.
Se vi state chiedendo cosa c’entrino gli zigomi del titolo sappiate che sono molto di più di un’effimera trovata. Gabriele aveva dipinto un quadro nel 1999 dal titolo Mi innamorai di uno zigomo e questa parte anatomica è a suo dire una di quelle che più lo colpiscono di una donna, nonché quella che più fa assomigliare le persone a sculture.

Il libro è disegnato interamente a penna bic e il suo tratto ha la stessa leggerezza dei modo in cui ci racconta l’amore e il sesso, i traumi e la morte, l’arte e il senso della vita. Ponendosi nella scia dei romanzi di formazione, il viaggio a New York diventa una sorta di rito di trasformazione e il lago d’Iseo che svanisce alla fine del libro -lo stesso sullo sfondo del quale Gabriele ha registrato i suoi dieci tentativi di presentazione- permette al cerchio di chiudersi.
Le torri di Manhattan sembra davvero di vederle spuntare all’orizzonte, oltre Monte Isola. O forse è ancora una volta la nonna Zuma pronta a fargli le carte.