Art

Yosuke Amemiya, alla ricerca della mela assoluta

Nato in Giappone nella prefettura di Ibaraki nel 1975 Yosuke Amemiya vive tra Berlino e Tokyo. Disegno, pittura, scultura, installazione video e performance: le sue opere ci raccontano di un artista eclettico, profondo e raffinato. 
Yosuke Amemiya ha iniziato la sua carriera artistica realizzando sculture dalla superficie dipinta in modo iperrealista.  La sua pratica artistica si è sviluppata poi nell’installazione video che si estende in tutto lo spazio dato, per poi allargare il suo lavoro attraverso video installazioni in cui include la sua presenza fisica.

È difficile sintetizzare il lavoro di Yosuke Amemiya. A prima vista le sue sculture in legno, caratterizzate dal dettaglio iper-realistico con cui definisce la sua frutta sembrerebbero enfatizzare l’artigianalità della lavorazione. Ma il modo in cui Amemiya confonde verosimiglianza e finzione ci svela la sua incessante e sistematica messa in discussione della realtà. 
Nel 2014 ha iniziato il progetto di “Perfectly Ordinary Stones, Carried for 1300 Years”.  Il progetto prevede che sei piccole pietre vengano portate con sé, una ciascuna, da sei persone e passate ogni cinque anni a qualcun altro. Questa lunga serie di azioni sarà completata nel 3314, 1300 anni dopo il suo inizio. L’artista progetta così un percorso per degli oggetti assolutamente neutri in un lasso di tempo abbastanza lungo da non poter prevedere il significato che queste pietre prenderanno. È un’inchiesta immaginifica sul senso dell’opera d’arte e sul ruolo del suo artefice nel cammino che essa intraprende una volta lasciata circolare nel mondo.

Mele, pietre e esseri umani

Riprendendo motivi ordinari come mele, pietre ed esseri umani e facendo uso di una tecnica di altissimo livello e di un linguaggio unico i suoi lavori si propongono di stupire per il gap percettivo che innescano. Lo scopo è quello di indurre l’osservatore a riconsiderare i fenomeni universali  di cui si è ormai persa la consapevolezza nella vita quotidiana. Lasciate in ambienti di frequentazione comune, come un negozio di alimentari o un’università, le sue opere alterano sottilmente l’esperienza spazio-temporale dello spettatore.
“Uno dei motivi per cui mi piacciono le mele, le pietre e gli esseri umani è perché possono essere trovati quasi ovunque nel mondo“, afferma l’artista. Il suo obiettivo dichiarato è quello di innescare un meccanismo a scoppio ritardato in modo che in seguito possa esplodere nella vita quotidiana e cambiare un po’ il mondo. Per questo sceglie le mele: l’istante in cui, al supermercato si sceglierà una mela tra le altre scatenerà un processo che risale alla visione della sua opera. Processo che avrà necessariamente delle conseguenze.

Mele fuse e mele in bianco e nero.

Le mele fuse non esistono in natura. Il fatto di realizzarle in modo incredibilmente realistico crea un contrasto che è lo stesso che nasce quando queste mele sono riprodotte in bianco e nero: perdere la forma o perdere il colore rosso per una mela significa perdere ciò che la contraddistingue. Eppure riconoscendola ancora come tale è come se ne cogliessimo proprio allora l’essenza.
Questo processo è paragonato dall’artista all’atto di “schiacciare l’acceleratore e il freno della percezione allo stesso tempo, mantenendo la scultura, che dovrebbe essere statica, in una continua vibrazione”.
Anche i frutti coperti da spesse macchie di vernice, sottolineando la natura fittizia dell’arte, creano un elemento di disturbo della realtà. 

La mela universale

La mela potrebbe essere interpretata come “il frutto dei frutti” o in altre parole “il frutto meno speciale” del nostro pianeta. 
Il motivo della mela appare per la prima volta in Yosuke Amemiya nel 1999, le prime mele fuse sono del 2005 e da allora se ne sono susseguite numerose, alcune non fuse, altre in bianco e nero, altre ancora dipinte. Per rendere verosimile una mela fusa o una mela in bianco e nero la “superficie doveva essere più realistica di un vera mela” da qui la ricerca di “quello che rende mela una mela”.
Fino al 2011 le sue mele erano fatte di uretano (simile alla plastica) e pittura ad olio, con l’uso di argilla come stampo. In seguito, dopo il suo trasferimento in Europa, comincia a scolpire il legno.
Nel 2015 inizia una ricerca dettagliata sulle mele: comincia ad osservare un albero di mele nello studio a Berlino e ne pianta uno in quello in Giappone. Nel 2017 inizia il progetto The Universal Apple, che consiste nello sviluppare una vetrina espositiva con delle mele conservate a basso contenuto di ossigeno e temperatura controllata da 0 a 1 °C, al fine di evitare lo scolorimento il più possibile. Il periodo in cui lo scolorimento resterà accettabile diventerà il periodo della mostra, in cui una mela reale sarà esposta accanto alla sua scultura Apple (Universality).

Una delle ragioni per cui l’artista ha continuato a creare opere che rappresentano mele è la loro grande varietà di superfici: il loro aspetto si differenzia incredibilmente a seconda del paese e della zona in cui crescono. In realtà esse si differenziano molto anche quando provengono dallo stesso albero.

Il processo con cui crea le sue mele è strettamente legato alla storicizzazione della crescita della mela stessa che nasce dal fiore e si sviluppa prima di raggiungere la sua forma finale. Le sue irregolarità, la curvatura del picciolo, la grandezza, il colore sono il frutto congiunto dell’opera dell’uomo e della terra. In questo le mele giapponesi sono speciali: il lavoro fatto durante la fioritura nel conservare solo alcuni fiori per far crescere mele più grandi, le manipolazioni, la copertura e l’utilizzo di superfici riflettenti per alterarne il colore rendono ogni mela reale una vera scultura, un’opera modellata dall’uomo.
Il cerchio si chiude allora, nell’attesa della sua Universal Apple.

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